Roma, Tenda Pianeta, 8 Apr 1986

11 Apr 1986
La Repubblica
Gino Castaldo

Pochi, Ma Affezionati Per Il Grande Martyn

PRATICAMENTE una riunione di vecchi fans. A questo si è ridotto il ritorno a Roma (ieri sera a Milano) di John Martyn, vecchio eroe romantico del country rock inglese degli anni 70. Non perchè il segno del concerto fosse improntato alla nostalgia, tutt' altro, quanto perchè evidentemente il suo nome non è entrato nei meccanismi del nuovo pubblico che oggi sta affollando i concerti dei nuovi artisti rock. Ed è un vero peccato perchè Martyn è ancora in grado di infiammare una platea, di fare della squisita poesia rock, e per di più senza nessun odore di stantìo, grazie ad una ritrovata energia che gli dà una nuova grinta, una caparbia voglia di comunicare e di essere moderno a tutti i costi.

John Martyn era e rimane tuttora un cult-artist, malgrado il rilancio che si sta tentando sul suo nome negli ultimi mesi. Rilancio che ha perfettamente funzionato a Londra, dove lo abbiamo visto un paio di mesi fa acclamato da un foltissimo pubblico in quello stesso Palladium1 che pochi giorni dopo ha ospitato Liza Minnelli. Un pubblico che, ovviamente, conosceva a memoria ogni suo verso, compresi quelli dell' ultima ora che in Italia sono ancora poco conosciuti.

A Roma, dunque, alla Tenda Pianeta, eravamo in seicento, a metà dispiaciuti perchè non ci fosse un riconoscimento più massiccio a questo grande musicista, per metà contenti perchè una volta tanto un concerto a Roma poteva essere visto con la maggiore comodità possibile. E ne valeva davvero la pena.

Per certi versi Martyn è effettivamente un eroe d' altri tempi. Il suo attuale rinnovamento, tutto fatto di incisività e ritmiche forti, non cede all' elettronica, il suo rimane un concerto di passione, sudore, musica suonata fino all' ultima nota. E anche di improvvisazione, che è sempre stata una delle specialità di Martyn, nel senso che l' inglese appartiene a quella speciale categoria di musicisti che, pur facendo canzoni, non gioca sulla ripetizione, sul clichè, ma al contrario sull' invenzione, così che potremmo ascoltare cento volte una sua esecuzione di un pezzo dal vivo, e trovarlo ogni volta differente, fosse pure per un dettaglio musicale, o una variazione melodica. Questo grazie alla sua insuperabile capacità di trovare sempre nuove piccole varianti alle melodie che canta, girando intorno alla composizione alterando di piccole sfumature la normale sequenza di note.

Valgano per tutte le interpretazioni di Solid Air,2 suo classico richiestissimo dal pubblico, che cambia ogni volta fino ad essere quasi irriconoscibile, o del classico reggae Johnny Too Bad, che muta di umori ritmici e vocali. Una componente aleatoria che risultava nettamente dalla differenza del concerto di Londra e quello di Roma. Differenza non sempre positiva, peraltro, perchè, forse per motivi economici, l' organico dell' ottimo gruppo che lo accompagna è stato ridotto di due elementi. Sono cioè stati eliminati il sassofonista e il percussionista, che a Londra davano al concerto maggiore ricchezza, e la possibilità di ulteriori sfumature.

Per questo a Roma John Martyn ha puntato su una maggiore durezza, scivolando solo raramente in atmosfere dolci e delicate, come nella stupenda ballad Sweet Little Mystery. E alla fine ha anche negato al pubblico alcune preziosità del suo vecchio repertorio, soprattutto la bellissima May You Never, che normalmente usa cantare ad ogni concerto accompagnandosi da solo con la chitarra acustica, trovando però lo spazio per un improvvisato Happy Birthday To You con tanto di torta, in omaggio al compleanno del batterista, e chiudendo con una meravigliosa reinterpretazione di Over The Rainbow, se possibile anche più intensa di quella di Keith Jarrett (che allo stesso modo usava chiudere il concerto con questo brano), lasciando nella tenda una rarefatta e struggente melanconia che i presenti non dimenticheranno facilmente.

di GINO CASTALDO
11 aprile 1986

sitenotes:
1 This was the 3 March concert also reviewed in the same paper.
2 The man wrote Solitaire, which is sort of funny.