Milano, Teatro di Porta Romana, 14 May 1979

14 May 1979
Ciao 2001 Vol XI #24
Marco Ferranti
concerti
John Martyn
Dalla Lingua
Lunga

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Si diceva che il chitarrista John Martyn fosse un esempio atipico della boria e testardaggine inglese. «Amabile» era quello che da sempre la stampa diceva di lui. Poi è arrivato in Italia e qualcuno ha cambiato idea...

Su John Martyn se ne raccontavano molte: ad esempio che fosse uno dei chitarristi acustici più raffinati del panorama folk britannico, dal carattere, estremamente docile, «è il più amabile tra tutti i musicisti» scrisse un giorno un giornalista inglese, insomma un esempio atipico tra gli artisti d'oltre Manica. Insomma uno bravo e uno buono.

La calata di Martyn in Italia non ha, per la verità, ribaltato questi termini, ma perlomeno, ci sembra, li ha modificati: John è bravo, ma forse non nello stile che ci aspettavamo, e se è veramente «buono» riesce a celare benissimo questa sua qualità dietro una facciata chiassosa e piuttosto prepotente.

Ma andiamo con ordine; i concerti di Martyn in Italia dovrebbero essere i primi di una serie dedicata ai protagonisti della musica country e popolare anglosassone. A spalleggiare l'impresa, sostenuta da un giovane organizzatore, è la casa discografica Ricordi con l'intenzione manifesta di promuovere una nuova collana discografica, denominata appunto Country'n'Folk; tra i nomi compresi in questo catalogo citiamo a caso la Dirt Band, John Renbourn, John Fahey, Dave Swarbrick, Bert Jansch, i Na Filì, i Bandoggs e molti altri ancora. «Per promuovere la collana, che si presenta come la più completa stampata in Italia -hanno detto alla Ricordi- abbiamo pensato proprio ai concerti: prima di tutto perché la carenza di questi si incomincia ad avvertire molto, poi perché i musicisti della linea Country & Folk sono attesi da molti in Italia dove non si sono mai esibiti prima, e infine proprio perché artisti di questo stampo hanno pretese economiche tali da coinvolgerli in tournée assai poco remunerative come quelle italiane».

Così in attesa di Reinbourn e Grossman, e mentre si parla di Bruce Cockburn per ottobre, è toccato a John Martyn aprire la serie di questi concerti Country'n'Folk.

Milano, Torino, Bologna, Brescia e Gorizia le città toccate: all'ultimo momento si è dovuto rinunciare a Roma perché la capitale non offriva un locale agibile per il concerto: un problema molto grave che rischia di far saltare altri e attesi concerti e che, ci auguriamo, sia risolto al più presto. Comunque, ovunque ha suonato, Martyn ha raccolto intorno a sé un interesse inaspettato. A Milano, ad esempio, dove abbiamo assistito al concerto1, per due sere consecutive, il teatro di Porta Romana, affollato in ogni ordine di posti e di spazio, non è bastato a contenere molti ragazzi che alla fine hanno dovuto rinunciare a malincuore ad assistere allo spettacolo.

picturePeccato anche perché John, pur se solo sul palco, di spettacolo ne offre tanto. Martyn viaggia da solo, senza tecnici personali o strumentisti d'accompagnamento; il parco strumenti è ridotto a due strumenti, una chitarra elettrica Les Paul e una chitarra acustica elettrificata. A questa dotazione ridotta all'osso, il musicista unisce una pedaliera che è un po' il segreto del suo sound: nessun'altra richiesta particolare se non quella di un palco particolarmente ricco di birra e whisky. In questa sua semplicità, Martyn è pignolissimo: a Milano, con la complicità di un producer suo connazionale, incontrato praticamente per caso, ha trascorso un intero pomeriggio a provare le sue apparecchiature; tra una battuta con l'amico inglese, una bevutina, una ritoccata ad un volume o ad un tono, Martyn era ancora, sudatissimo alle prese con il suo soundcheck e già di fuori si rumoreggiava per entrare. Poi all'ultimo il musicista se l'è presa con i rappresentanti di un' emittente televisiva locale che si era attrezzata per riprenderlo; alla fine, con molta diplomazia, si è riuscito a convincerlo a tornare dietro le quinte, in attesa dell'imminente concerto. Ma il musicista la storia della televisione se l'è legata al dito e per tutto il concerto ha sbeffeggiato i cameramen, esplodendo in un'interminabile risata quando uno di questi, verso la fine, ha rischiato di sprofondare giù dal palco con tutta la telecamera.

Se, per la verità, le luci delle riprese hanno tolto al concerto un po' della sua atmosfera, nulla hanno negato all'incisività e alla personalità con cui il cantautore riesce a stare sul palco. Una volta sedutosi sulla seggiola, da cui si alzerà solo alla fine dello spettacolo, la prima mossa di Martyn è quella di deglutire un sorso di scotch, subito seguito a ruota da un'intera lattina di birra; è, questo della doppia bevuta, quasi un rito a cui il musicista si sottopone molto volentieri tra un brano e l'altro: comunque per la cronaca, dopo i concerti di Milano qualcuno è riuscito a far sparire dal palco il liquore, lasciando a John solo il piacere della birra...

● MUSICA & ALCOOL
Finalmente la musica: il titolo d'esordio è «Big Muff», il brano portante dell'ultimo lavoro di Martyn. II pezzo è sostenuto da una ritmica molto marcata, quasi elettronica, su cui si innestano ricami di chitarra elettrica e una voce molto «coloured», calda e graffiante. Ebbene, voce a parte, Martyn riesce a rendere perfettamente tutto ciò dal palco con il solo aiuto della chitarra acustica elettrificata. Con il pollice segue una linea ritmata che, attraverso un magnete posto dove le corde della chitarra hanno un suono più secco, giunge alla pedaliera; qui interviene un echoplex, che con l'aiuto di un distorsore e di un phasing, restituisce agli amplificatori un ritmo ossessionante, meccanico, prepotente. Su questa ritmica lavorano le altre dita della mano destra che letteralmente strappano le corde in un arpeggio, forse tecnicamente discutibile, ma anche molto vissuto, anch'esso dalle sonorità distorte, torturate, elettriche. A partire da questa «Big Muff», che rappresenta indubbiamente uno dei momenti più validi, appetibili e originali nel repertorio del cantautore, il concerto ha offerto non pochi di questi momenti elettrici, incisivi, graffianti, anche se non tutti, forse per evidenti ragioni strumentali, molto differenziati gli uni dagli altri. Fa eccezione il brano che intitola l'ultima opera di Martyn, «One World», reso sul palco con una grande forza interiore, in un'esecuzione molto sentita ed emotiva, dove la voce di John, roca ed introversa, trova una dimensione veramente affascinante.

Di fronte al Martyn elettrico quello più classicamente acustico; anche qui comunque il musicista conserva lo stesso taglio chitarristico spigoloso, con le corde strapazzate dalle sue dita d'acciaio: ma è la natura della musica a cambiare: i temi popolari si fanno marcati, le espressioni bluesistiche risplendono, oltre che per i temi della chitarra, specialmente per i vocalismi, spesso sui limiti di una vena jazzistica intensamente vissuta. È un John Martyn non semplice da assimilare, spesso giocato su sottili mutamenti d'umore e di tecnica che in concerto non è sempre facile seguire. Tuttavia il pubblico ha dimostrato di apprezzare anche questo Martyn più classico: «Bless The Weather», «I'd Rather Be The Devil», «Head And Heart» e la simpatica «Singing In The Rain» sono stati i momenti forse più graditi. Molto applaudito anche un lungo solo, anch'esso in equilibrio tra elettrico ed acustico, che John ha presentato con queste parole: «Ecco il mio solo che segue la legge di tutti i solo che ogni cantante o musicista folk deve creare cercando di fare assolutamente qualcosa che gli altri non riuscirebbero mai ad imitare»2.

Molti applausi, bis ed ammirazione, dialogo col pubblico, anche con battute piuttosto felici, molto alcool scolato, tanta musica: John Martyn è uno che sul palco dà veramente tutto se stesso, un vero personaggio. Ma non solo sul palco; eccovi una sintesi di quanto detto da John in una brevissima chiacchierata.

«Ho un sacco di problemi coniugali e per questo cerco sempre compagnie femminili; ma da quest'estate sarò in compagnia anche sul palco con dei session men: non mi dispiacerebbero Winwood e Clapton con cui ho suonato e che naturalmente ammiro. Pensa che ho già pronta la ritmica del mio nuovo album che sarà molto elettrico. Ma non preoccuparti le mie radici rimangono nel folk: in quello scozzese ed irlandese: non in quello inglese, odio il folk inglese. Un altro che odio è Segovia: suona solo con la tecnica».

Marco Ferranti

sitenotes:
1 The concerts took place 13 and 14 May 1979.
2 This must have been Seven Black Roses.
A few spelling mistakes have been corrected. 'Mig Muff' was nice. This issue of Ciao 2001 had Lucio Dalla and Francesco De Gregori on the cover and originally cost 500 Lire.