Intervista a John Martyn

Vittorio Azzoni
Guitar Club Vol IV #3
Intervista a
John Martyn
di Vittorio Azzoni

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«A vent'anni dal suo debutto professionale è un musicista sensibile ai valori di sempre: feeling, padronanza tecnica e gusto per la ricerca. Ma ai suoi concerti c'è ancora qualcuno che reclama il menestrello acustico di un tempo...»

Dopo il poco convincente Sapphire di un paio d'anni fa, John Martyn torna a farsi sentire con un nuovo album intitolato Piece By Piece, che tra l'altro costituisce anche il titolo del brano che chiude la prima facciata dell'album ed ha la particolarità di essere l'unico a non essere firmato dallo stesso Martyn: si tratta infatti di una composizione del tastierista Foster Paterson.

A parte le tre song Nightline, John Wayne e Serendipity, dai toni e dagli impasti vocali piuttosto ricercati, grintosi o, ancora, tesi verso un flou di stampo impressionista, il resto del lavoro è invece improntato su una linea decisamente easy-soul, ma è condotto con doti di classe e con una dignità compositiva comunque superiori alla media dei prodotti che si possono trovare in circolazione oggi sul mercato.

Certo non si tratta di un ellepì da collocare di fianco a Grace & Danger o Glorious Fool, due prove indicate ai vertici dell'ultimo periodo elettrico dell'artista scozzese, ma nonostante tutto sa sprigionare, forse dopo qualche ascolto, un calore e una passione che sanno coinvolgere molto discretamente con l'eleganza stilistica e la raffinatezza degli arrangiamenti.

L'album, che è stato registrato negli studi Cava Sound Workshop di Glasgow, presenta una superba incisione con una dinamica molto ampia e ricca, forse più carica sulle frequenze medio-alte per sottolineare la resa delle percussioni.

E se Piece By Piece ha lasciato una buona impressione, l'interpretazione live che Martyn ha saputo dare nel corso della recente tournée condotta in Italia1 è stata ancor più convincente e incisiva. In concerto John si trasforma letteralmente e la sua voce e la sua chitarra assumono un piglio decisamente libero, carico di un'incredibile energia...

Guitar Club: Quali strumenti adoperi ultimamente e con quale criterio li scegli?
John Martyn: Per le parti costruite insieme al gruppo preferisco usare delle chitarre Fender, mentre per i lavori in solo mi affido alla Gibson perché più ricca di una risposta armonica sui medio-bassi.

È uno strumento decisamente più caldo, pieno ed avvolgente, capace di restituire delle note profonde. Per anni e anni infatti ho sempre suonato sulla SG mentre oggi utilizzo anche una Les Paul.

Per quanto riguarda la strumentazione acustica invece ho una Martin D-28 e,2 da un anno a questa parte, una Guild. Di solito le amplifico o con il classico Barcus Berry, oppure con un pick-up che dopo aver cercato per mare e per terra sono finalmente riuscito a trovare: mi riferisco al C-Ducer.3 Per essere sinceri la soluzione ottimale sarebbe ancora quella di un buon microfono direzionale ma, mentre per molti chitarristi non esistono vere e proprie controindicazioni a questo sistema, personalmente mi troverei impedito nel movimento della mano destra. Qualsiasi microfono non sarebbe mai abbastanza distante da evitare le evoluzioni scomposte ed irose del mio stile percussivo! Nello stesso tempo ho anche bisogno di una larga risposta in frequenza per poter sempre giocare sulla combinazione alternata di bassi e di acuti... Fortunatamente ho deciso di eliminare il materiale acustico dal repertorio live risolvendo così anche questo problema.

G.C.: Ci sono delle parti ritmiche e solistiche incise su disco che giudichi particolarmente efficaci?
J.M.: La versione live di Johnnie Too Bad sull'album Philentropy per quanto riguarda la ritmica e May You Never per l'assolo, se per assolo si intende qualcosa di abbastanza originale: una tecnica, quella dello slapping, che nessun altro utilizza in parti del genere.4

G.C.: Durante i tuoi assoli fai riferimento, più o meno esplicito, a dei patterns?
J.M.: Sinceramente non mi sento legato o comunque ispirato da qualche tonalità particolare né tanto meno da patterns. Credo che la cosa migliore sia quella di suonare ogni sera in modo diverso, nuovo, anche se inevitabilmente, quando la fantasia non spinge alle porte della tua mente, esce pur sempre qualche passaggio che si è soliti fare e che per forza di cose si conosce quasi a memoria.

G.C.: Vuoi parlarmi ora delle tue accordature aperte?
J.M.: Quella che ricorre maggiormente nelle mie song è la violin tuning: G-D-C-C-F-C (dal basso). Ogni cosa scritta negli ultimi tre anni è infatti nata da questa accordatura un po' speciale. In passato ho invece fatto uso della classica D-A-D-G-A-D. Presente, tanto per intenderci, in lavori come Inside Out. Francamente conosco ben poco o niente degli aspetti musicali teorici e quelle scarse nozioni che ho acquisito le devo a mia madre, insegnante di pianoforte classico, e a qualche roadies più colto di me.
Ho anche una certa esperienza con le minor tuning verso le quali mi sento particolarmente attratto: le ho sperimentate con un certo interesse in Solid Air.

G.C.: Quando sei in uno studio di registrazione, come ti comporti nel predisporre la registrazione del tuo strumento?
J.M.: Anche se preferisco l'attività concertistica alle sedute di registrazione, quando devo incidere non ricerco quasi mai un sound di tipo live. Mi collego direttamente alla consolle per poi manipolare il suono attraverso qualche effetto. Un sistema che mi è molto familiare consiste nel posizionare in una grande stanza microfono e amplificatore tra loro distanti, registrare i due segnali e usarli poi insieme in modo da produrre un suono che è quasi fuori fase (anche se poi la resa in fase o fuori fase dipende molto dalla posizione dei pick-ups). L'effetto che preferisco è quasi sempre un chorus usato in stereo con due amplificatori.

G.C.: Quando componi un brano ti affidi esclusivamente alla chitarra?
J.M.: Nella maggior parte dei casi il mio approccio compositivo è indotto dalla chitarra, ma devo dire che in alcuni momenti trovo l'ispirazione anche da una drum-machine o, ancor meglio, da qualche piccola tastiera.

G.C.: Quanto di ciò che realizzi in studio riesci poi a riprodurre sul palco?
].M.: Penso che non esistano limiti formali: tutto il materiale dei miei dischi può essere tranquillamente rifatto con l'ausilio di un paio di tastiere e di una batteria elettronica programmata. Anche se in realtà ho sempre cercato di intendere le due attività in modo ben distinto: come possibilità d'interpretazione con attitudini da non confondere.
Inoltre ho un repertorio che ormai abbraccia più di dieci anni della mia carriera e pertanto sento naturale il bisogno di reinventare delle cover di certi pezzi.

G.C.: A parte le chitarre che hai già descritto, che cos'altro porti con te sul palco?
J.M.: Naturalmente alcune tastiere: un DX-7, due Jupiter-8, un Mirage e un Prophet. Per quanto riguarda gli effetti uso invece un flanger, un phaser, un overdrive, un noise-gate e un compressore per il feed-back: tutti MXR. Come amplificatori ho una coppia di Peavey.

G.C.: Cosa puoi dire circa l'evoluzione timbrica della tua voce?
J.M.: Non la considero arrivata ad un punto fermo: sto ancora lavorando molto in questa direzione. In pratica rispecchia un po' la mia duplice tendenza soft e lirica da una parte e aggressiva e profonda dall'altra che, rispettivamente in studio e on stage, caratterizzano lo sdoppiamento della mia personalità artistica. Molta energia che riverso in concerto infatti non deriva tanto dal mio modo di suonare la chitarra, quanto piuttosto dall'effetto prodotto dalla mia voce.

G.C.: Dove hai scoperto un bassista dal tocco così personale come Alan Thomson?
J.M.: Quando ho realizzato l'album Grace & Danger ho avuto la grande opportunità di suonare con John Giblin. Ma come avrei potuto in seguito trovare un altrettanto valido fretless bass player?
A quel tempo dovevo preparare il nuovo LP e trovandomi a Glasgow non avrei fatto in tempo ad andare fino a Londra per mettermi sulle tracce di un buon bassista. Così mio cugino David che suona in un piccolo gruppo mi propose un'audizione al suo chitarrista, particolarmente versatile anche sul basso. Nel giro di tre o quattro giorni aveva già imparato ogni parte musicale e si rivelò quindi una soluzione ancora più perfetta del previsto. Fondamentalmente Alan è un compositore e un chitarrista di tutto rispetto con un grande talento. Per esempio ha scritto la parte B del nuovo singolo di Robert Palmer.5

G.C.: Dal momento che provieni da un background tipicamente folk, quando hai deciso di inserire per la prima volta all'interno del tuo sound le alchimie degli effetti?
J.M.: Nel 1972: all'inizio mi sono mosso per ricercare un maggiore sustain, poi, per arricchire il mio spettro sonoro ancora di tipo acustico, ho acquistato una delle prime Echoplex allora in commercio (a tre velocità) e l'ho collegata a un fuzzbox e arricchita con il riverbero inserito nell'amplificatore.

G.C.: Hai intenzione di realizzare qualche video per il nuovo album?
J.M.: Mi piacerebbe poter ideare un clip per John Wayne, ma sarebbe un progetto troppo costoso. In questo genere di cose ho la tendenza ad avere il controllo pressoché totale della situazione ed il motivo reale per cui non riesco a fare molti video è proprio questo.
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G.C.: Sempre a proposito dell'ultimo album, c'è un brano intitolato Nightline il cui senso letterario è forse sottinteso. Vuoi spiegarci il testo di questo brano?
J.M.: In Inghilterra oggi esistono non pochi problemi di natura politica ed uno di questi, forse il maggiore, è costituito da Margaret Thatcher. Questa donna si sta impegnando a fondo per rimuovere alcune facilitazioni che la working class pensa di avere e, attraverso un precisa serie di restrizioni, sembra proprio volerle eliminare una ad una.
Nelle scuole inferiori, c'era l'abitudine fino a qualche tempo fa, di distribuire gratuitamente una merenda a base di latte: per alcune persone, e specialmente per le più povere, ciò costituiva l'unica opportunità per la colazione del mattino: bambini provenienti da grossi nuclei familiari, con sei, sette, o anche otto persone da sfamare, e senza abbastanza denaro per nutrire tutti, venivano mandati a scuola non soltanto per imparare. Un servizio quindi di vitale importanza per gli appartenenti a questa fascia sociale. Abolito.
Inoltre la signora Thatcher ha tolto il pasto che veniva garantito dal welfare state (stato di sussistenza) in scuole d'altro livello e per il quale la famiglia di ogni ragazzo versava un modico contributo.
In poche parole, attraverso il governo degli ultimi otto anni ha concertato una politica di riduzione e abrogazione dei servizi sociali. E intanto la disoccupazione continua a salire, a tal punto che si stanno accavallando già due generazioni di disoccupati.

Venendo ora a Nightline vorrei chiarire che si tratta di un confine psicosociale oltre al duale si schierano gli oppressi attraverso una serie di reazioni che sfociano nella formazione di bande. Bande che occupano le strade, i cui componenti assumono eroina, creano disordini. Quando questa gente manifesta nelle strade il proprio dissenso la polizia assume un potere incontrollato: è solo un grande mito l'immagine di una polizia britannica senza armi addosso!

Nightline si riferisce ad un fatto di cronaca ben preciso: qualche tempo fa una squadra di poliziotti scese a Brixton e durante una retata ci furono degli spari. Rimase ferita una donna di cinquantasei anni, Cherry Groce, che in seguito ad una paralisi morì. Francamente non so come si possa confondere una donna di quell'età con un giovane teppista... Subito dopo l'incidente molti scesero nelle strade come atto di protesta e si verificarono altri disordini culminanti con l'uccisione di altre quattro persone. Vi furono ingenti danni a proprietà pubbliche e private, e le forze dell'ordine impiegate nell'operazione costarono il doppio per aver lavorato anche dopo la mezzanotte. Tutto questo mentre la propaganda dei conservatori invita la nazione a confermare la sua fiducia per un governo di legge e d'ordine... Ma è lo stesso governo in fondo a causare i problemi che poi pretende di risolvere usando metodi malsani che peggiorano ulteriormente la situazione!

Così Nightline è una specie di confine stradale che separa quartieri ghetto come Brixton, per esempio, dove la gente esce di casa per vivere la notte: è la linea della sofferenza, dei mali che si sommano ad altri mali.

G.C.: Esistono dei gruppi di popular music che apprezzi particolarmente?
J.M.: Non sono molto interessato agli sviluppi della popular music. Penso comunque che ci siano delle buone idee anche nei lavori dei Simple Minds, dei Tears For Fears e dei Clannad.

G.C.: Se non sbaglio non hai mai avuto grosse esperienze come produttore: è il risultato di una tua scelta ben precisa oppure ti sono mancate delle occasioni relative a questa forma di espressione artistica?
J.M.: Penso che mi piacerebbe produrre del jazz. Vorrei magari scoprire quattro o cinque giovanissimi elementi dal talento straordinario per farli diventare dei buoni musicisti.
La soluzione migliore sarebbe addirittura quella di produrre un jazz label in Inghilterra, proprio perché molti sono costretti ad espatriare per incidere e spesso anche per potersi guadagnare da vivere. Per sfuggire a certe pressioni commerciali alcuni jazzisti se ne vanno verso il Nord dell'isola. È un momento difficile per questo tipo di musica: circola troppa avidità... Un pianista inglese che stimo profondamente è John Taylor: musicista che si può parafrasare con una frase del tipo: «Keith Jarrett Go Home!».

G.C.: Tra i tuoi sogni c'è anche quello di realizzare un tuo album insieme a strumentisti jazz?
J.M.: Sto proprio lavorando a un progetto con Charlie Haden, Billy Higgins e Don Cherry: ho già i temi pronti che svilupperò in tre o quattro pezzi al massimo seguendo un impianto classico di tipo allegro con vivace. Ci sono parecchie influenze di modi arabi, anche perché sono sempre stato attirato dalla musicalità delle scale orientali, specialmente quelle dell'area del Marocco.

DISCOGRAFIA CRITICA
Bless The Weather - Island ILPS 9167 - 1971
Solid Air - Island ILPS 9226 - 1973
Inside Out - Island ILPS 9253 - 1973
Sunday's Child - Island ILPS 9296 - 1974
Live At Leeds - Island ILPS 9343 - 1975
One World - Island ILPS 9492 - 1977
Grace & Danger - Island ILPS 9560 - 1980
Glorious Fool - WEA K 99178 - 1981
Philentropy - Body Swerve IDS JMLP 001 - 1983
Piece By Piece - Island ILPS 9807 - 1986

sitenotes:
1 No further details yet about this tour, which should have taken place around January 1987.
2 The text said Martin D-208 but that is a non-existent type.
3 C-Ducer: system of a tape microphone and pre-amplifier often used on acoustic guitars.
4 On various occasions John claims to have invented the backslap technique. For instance he told John Perry in March 1988: "The one thing I do give myself credit for inventing is the Back-Slap, exploiting hammer on and hammer off with the left hand. It just comes automatically to me that if I hit a ONE beat I'm gonna hit something on the THREE, be it the bridge, body or my own hand. Nobody quite overkilled it the way I did!!"
5 Let's Fall In Love Tonight was the flipside of the Addicted To Love single and written by Alan. It is only to be found on the US, Canadian, Australian and New Zealand releases of the 7" (Island K9955). The UK released IS270 with Remember To Remember as B-side.

This interview was published in Guitar Club of March 1987. The monthly magazine was based in Milano; this issue had Toto on the cover and originally cost 5.000 lire.

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