John Martyn: 20 Anni Di Rock
LONDRA - Non sono molti gli artisti rock che possono festeggiare sul palco vent' anni di attività musicale. John Martyn lo ha fatto, e senza alcun compiacimento, al Palladium, un teatro a due passi da Oxford Street, in pieno centro, che normalmente ospita la commedia brillante, e solo alcuni rari concerti di particolare prestigio. Probabilmente è la prima volta che il Palladium si apre al rock, con i suoi stucchi perfettamente conservati, le guide rosse, i lampadari a goccia e gli inservienti relativamente a disagio di fronte al pubblico rock, e si va ad aggiungere alla già cospicua lista dei luoghi della musica giovanile a Londra.
E bisogna dire che, ancora una volta, abbiamo provato un certo senso di invidia per come all' estero si può ascoltare la musica: acustica perfetta, poltrone comode, un invito al più puro godimento musicale che ormai più nessun italiano si sognerebbe di immaginare associato alla musica rock.
John Martyn ha onorato il suo anniversario nel migliore dei modi. Senza compiacimenti, come si diceva, ma semplicemente proponendo la sua musica con la maggiore intensità possibile. Che lunedì sera fossero passati esattamente vent' anni dal suo debutto professionale lo sapevano solo gli addetti ai lavori, gli amici, i giornalisti europei presenti al concerto, che dopo lo spettacolo sono stati invitati ad un breve e sobrio rinfresco con tanto di candeline e torta con un bel 20 scritto sopra.
Per il resto, Martyn non sembra disposto a versare lacrime di commozione sui bei tempi andati. "Non mi sento affatto vecchio. Mi trovo perfettamente a mio agio nella nuova musica" ci ha raccontato nel corso del pomeriggio nella sala da biliardo del suo club, il Chelsea Arts Club, dove va a rilassarsi quando è a Londra, per giocare a 'snooker', il più popolare dei giochi di biliardo in Inghilterra. Al contrario è tutto concentrato su un massiccio rilancio della sua carriera, auspice la ritrovata collaborazione con l' etichetta Island e un lungo tour che lo porterà in giro per il mondo (sarà in Italia ai primi giorni di aprile), e complice infine un bel nuovo album, Peace By Peace [sic] che riscatta gli ultimi tempi di appannamento.
E' probabile che ci sarà una riscoperta del personaggio, anche perchè è possibile che i giovanissimi non sappiano neanche bene chi sia. Diremo per loro che Martyn è uno degli ultimi eroi romantici del rock, un poeta tormentato, inadatto ai clamori del grande mercato. Ha iniziato sulle strade del folk, dai retaggi gaelici della sua origine scozzese, imparando in seguito ad assimilare qualsiasi altro genere musicale e imboccando un complicato percorso che lo ha portato via via vicino al blues, al jazz, al rock elettrico, al reggae, diventando presto una figura mitica, un cult-singer ricercato e inimitabile. La sua filosofia è stata quella del continuo rinnovamento, di una musica che cerca sempre trasformazioni ed esplora rabbiosamente la sfera emotiva.
Al Palladium abbiamo riascoltato la sua voce melmosa, rauca fino alla disperazione, e poi improvvisamente dolce, vellutata, capace di cantare piccole elegie di amori moderni e spiritati. Quella sua voce sempre instabile, irrequieta, che canta la melodia trasversalmente, come se quello che rimane ai margini fosse poi la vera sostanza del pezzo. Col nuovo gruppo Martyn ripercorre grandi momenti della sua storia, disposto a momenti di grande serenità musicale, ma anche a episodi di rock duro, di ritmi forti e aspri. Tante diverse atmosfere rincorse senza tregua, così come è ben rappresentato dal suo ultimo album, quasi tutto riportato in concerto, dalle dolcissime Peace By Peace [sic] e Angeline fino alle metalliche Nightline e Serendipity.
Ma c' è spazio anche per un paio di pezzi acustici, da solo con chitarra, dove Martyn è insuperabile: un brano di Jelly Roll Morton e soprattutto la sua bellissima May You Never, che Eric Clapton ha inciso nell' album Slowhand.
Martyn è stato e rimane tuttora un irregolare, una figura eccentrica e inquieta, autore soprattutto, ma anche interprete con doti non comuni, vedi le sue reinterpretazioni del vecchio reggae Johnny Too Bed [sic], e soprattutto nel finale l' emozionante rilettura di Over The Rainbow, rarefatta, struggente, lacerata da vecchie emozioni. Insomma tutto un bagaglio di dignità, di talento, di spessore poetico con il quale Martyn vorrebbe riconquistare un posto, facendosi largo a fatica tra l' ondata di giovani rampanti che attualmente dominano il mercato internazionale.
Dal nostro inviato
GINO CASTALDO
05 marzo 1986