11 Apr 1986
Incontro con il musicista che chiude stasera a Torino il suo breve tour italiano
Martyn, vent' anni di rock amando il jazz
MILANO — Ci sono ricorrenze che nel rock valgono doppio, ad esempio i ventanni di carriera di John Martyn, cantautore di qualità, primogenito di una generazione ormai agli sgoccioli: la sua resistenza, la sua fedeltà a un linguaggio musicale che mai ha goduto dei benefici riflessi del mercato, la costante bontà di prodotti discografici rimasti ad appannaggio di un pubblico abbastanza ristretto se paragonato al grande business, fanno di lui una specie di pioniere e insieme un superstite, uno di quelli che mai ha accettato di piegarsi alle regole delle mode e delle classifiche.
John Martyn, che stasera chiude il suo breve tour italiano al Big Club di Torino, ha potuto ribadire nel tempo i suoi amori, i suoi gusti, restando avvinghiato a una concezione romantica della musica, passionale e comunque viva e vibrante, legata alle pulsazioni emotive, e i suoi affezionati seguaci lo hanno premiato con un affetto costante: anche l'album più recente, Piece By Piece, riprende quelle tensioni di voce e di suoni che lo hanno sempre distinto, il blues, una punta di jazz, uno sfondo folk e di musica acustica da cui era partito nel 1966, fino alle influenze nere del soul e del funky più intelligente.
Nel suo curriculum ci sono dischi memorabili, forse pensati in anticipo rispetto ai tempi, come Inside Out, del '73 «che piace e incuriosisce oggi, ma che all'epoca in cui usci raccolse qualche buona recensione, rimanendo sugli scaffali dei negozi», oppure come Solid Air, forse il suo capolavoro, «sicuramente il mio best-sellers, ma con cifre ridicole se paragonate a certi idoli di oggi».
Nel 1981 Martyn tentò la via del successo, un esperimento non del tutto azzeccato: passò dall'Island alla più potente Warner Bros, e l'album che ne sortì fu Glorious Fool, prodotto da Phil Collins: «Fu un momento di scommesse con me stesso, sentivo di dover cambiare, di voler dare una svolta alla mia carriera, magari per fare un po' di soldi. Aver avuto al fianco Phil è stata un'esperienza straordinaria: non solo è un amico, ma anche uno nato con la musica nel sangue che sa lavorare in sala di registrazione come pochi, con del ritmi infernali. Collaborare con Phil Collins è stato un privilegio, i professionisti come lui sono sempre i migliori».
Una quarantina d'anni portati con brio, dotato di una comunicativa contagiosa che si esprime anche dal palcoscenico, John Martyn da Glasgow vede molto jazz nel suo futuro: «Ho sempre amato la musica nera americana, ma adesso in particolare vorrei ulteriormente avvicinarmi al jazz, per lavorarci in qualche modo, non solo per ascoltarlo su disco: sogno di poter registrare con Charlie Haden, con Don Cherry e Billy Higgins, è un regalo che prima o poi riuscirò a concedermi».
Enzo Gentile
sitenote: This announcement was published in the Arts section on the Friday of the Torino concert.