14 Jan 1979
IL CANTAUTORE SCOZZESE NON HA MAI AMATO IL MONDO DELLO SPETTACOLO E SOPRATUTTO NON HA MAI SCELTO DI FARE IL DIVO. HA PREFERITO PIUTTOSTO LA PARTE ARTIGIANALE DELLA FACCENDA, DIVENENDO UN VERO E PROPRIO PUNTO DI RIFERIMENTO.
«Quello che mi ha sempre ispirato, mi ispira tuttora: resto principalmente un autore di canzoni d'amore. L'amore continua ad interessarmi più di qualsiasi altra cosa al mondo».
John Martyn, trent'anni, scozzese di Glasgow, dieci album (più un'antologia) realizzati da quando, undici anni fa, cominciò a suonare la chitarra e ad esibirsi nei pubs e nei folk clubs britannici: non è un divo, non ha mai ricevuto né l'oro né il platino per una sua incisione, e neppure ci tiene. Circa tre anni fa, quando capì che con il mondo dello spettacolo era meglio tagliare i ponti per un poco, si ritirò nella sua casa del Sussex e di lì si incaricò personalmente della distribuzione, per corrispondenza, del suo ultimo album, che era un live stampato in numero limitato di copie.
Rotto il silenzio nell'autunno dello scorso anno, Martyn ci ha regalato un disco, «One World», ed ha ripreso a suonare sia nei piccoli locali che nei grandi stadi, accettando di accompagnare Eric Clapton nel tour americano di pochi mesi or sono. Ma l'esperienza di questa tournèe non è stata troppo felice: «Dovevo suonare davanti a qualcosa come trentamila persone, di cui almeno ventinovemila non mi conoscevano affatto. Tra me e quei ventinovemila, allora, si instaurava una sfida vera e propria: da una parte io che tentavo a tutti i costi di impormi, dall'altra quelli che si domandavano chi diavolo fossi e che cosa volessi da loro».
Martyn è cantautore originale, personalissimo, che non trova convincenti pietre di paragone (il compianto Nick Drake era il musicista che più spesso gli veniva messo a confronto). La richiesta timbrica dei suoi album, da «Solid Air» in poi, è la stessa del nuovo cantautore modello anni '70, da Jon Mark a Billy Joel, da Gerry Rafferty ad Al Stewart, da Van Morrison a Bruce Springsteen. Ma l'originalità di Martyn sta altrove: quando comincia, diciannovenne, comprende immediatamente che non gli sarà possibile muoversi in una sola direzione. I suoi beniamini sono Donovan e Bob Dylan, la sua grande passione resta il folk (in particolare quello scozzese), la folgorante illuminazione di quegli anni si rivela il jazz di Harold McNair, il fiatista che John chiamerà con sé nel suo secondo album, «The Tumbler», e che purtroppo morirà di lì a poco. C'è anche qualcun altro che nello stesso periodo comincia a fondere tutto ciò con eccellenti risultati: sono i Pentangle, e insieme a loro, al contrabbasso, è un certo Danny Thompson. John se ne ricorderà: e dal '70 in poi formerà con Danny coppia inseparabile. La vena di Martyn giunge a completa maturazione nei primi anni della decade in corso. John si circonda di gente come Steve Winwood e l'altro ex Traffic Chris Wood, come Richard Thompson (ex Fairport Convention), come Remi Kabaka e Dudu Pukwana, come il bassista dei Fairport Dave Pegg, come Morris Pert (già con Yamashta, ora nei Brand X) e Bobby Keyes. L'impostazione resta fondamentalmente melodica, ma viene mediata dall'elemento jazzistico brioso e graffiante, i testi sono intimisti, la voce è eruttata, più che modulata, roca e sofferta. Qua e là compaiono elementi folklorici più vicini alle radici scozzesi. John è cosciente di non aver molti modelli cui poter essere felicemente accostato: «Sebbene la struttura della musica serva ad esprimere qualcosa che si è già formato prima da qualche altra parte, ritengo tuttavia di essere piuttosto originale. Mi piace guardarmi alla televisione, e scoprire che canto, suono e compongo come nessun altro musicista esistente. Con questo non voglio certo affermare di essere il migliore. Sono però soddisfatto di quello che sto facendo».
• AMORE & IMPEGNO
Ma John Martyn è una persona solo apparentemente tranquilla: ha sì trovato un suo equilibrio interiore in cui vien data fondamentale importanza all'amore e agli affetti famigliari, ma non è assolutamente insensibile ai problemi che la realtà quotidiana propone. L'amore -ha detto- resta sempre la base su cui nasce la gran quantità delle cose che scrive: ma chi ha seguito Martyn in questi ultimi mesi deve essersi accorto che qualcosa nell'uomo è mutato. John ha cominciato col prender parte a qualche spettacolo organizzato dall'Anti-Nazi League (l'associazione antinazista sostenuta, tra gli altri, da alcuni musicisti della new-wave come i C[l]ash, la Tom Robinson Band ed Elvis Costello) ed ha poi composto una canzone, «The Black Man At Your Shoulder», che contiene un evidente messaggio contro il razzismo. Non sa ancora se il brano potrà essere inserito nel suo prossimo album: «II ritornello della canzone ripete "Non sei spaventato dal negro che ti sta alle spalle?!" -spiega John-, ma il senso è evidentemente ironico, e non vedo perché alla mia casa discografica debbano pensare che la gente possa fraintendere il significato di quello che dico: prendermi, cioè, alla lettera e, di conseguenza, bollarmi come cantante razzista o -peggio ancora- nazista. In realtà, odio il nazismo».
«The Black Man At Your Shoulder» è una canzone contro i pregiudizi razziali: Martyn vorrebbe che la gente prendesse coscienza delle proprie paure e di tali pregiudizi, e che la smettesse di considerare capro espiatorio di ogni situazione chi ha la pelle di diverso colore. «Un conto -puntualizza John- è essere fieri della propria terra e della propria cultura, un altro è considerarsi superiori a tutto il resto del mondo. Così, amare la musica della propria nazione, non comporta che si debbano odiare tutte le altre».
Martyn è ora impegnato in una lunga tournée che sta toccando varie università e scuole britanniche. Fa tutto da solo, ed ha persino rinunciato all'apporto del fedelissimo Danny Thompson. In compenso, ha pensato bene di portarsi appresso una sorta di piccola casa ambulante che gli permette di dormire dove e quando vuole, evitandogli così l'«orrore» di cambiar letto ogni notte. La personalità di Martyn, tanto legata al gusto del domestico e del famigliare (è offensivo o eccessivo dargli del pantofolaio?) emerge evidentissima da questa dichiarazione: «Non c'è niente di peggio che, terminato un concerto, far ritorno ad un albergo ogni sera diverso, svegliare il portiere per farti aprire il bar -hai pur bisogno di bere qualcosa!- e poi salire in camera ed infilarti in un letto estraneo e sconosciuto. Mentre poco prima centinaia di persone ti scaldavano con il loro entusiasmo, ora sei lì, solo e sconsolato, in un infernale dormitorio pubblico».
Terminata la tournée, Martyn entrerà in sala per il nuovo album, buona parte delle canzoni del quale è già pronta.
Stefano Lecchini
• DISCOGRAFIA
London Conversation (Island, 1967)
The Tumbler (Island, 1968)
Stormbringer (inciso con la moglie Beverley; Island 1970)
The Road To Ruin (con la moglie Beverley; Island, 1970)
Bless The Weather (Island '71)
Solid Air (Island, 1973)
Inside Out (Island, 1973)
Sunday's Child (Island, 1975)
Live (Island, 1975)
So Far, So Good (antologia; Island, 1977)
One World (Island, 1978)
sitenote:
The story was published on on page 20 of the magazine which had Keith Emerson on the cover and originally cost 500 Lire.